lunedì 14 marzo 2016

Libertà di stampa? In Francia arrestano i cronisti che indagano sulle stragi dell'Isis

Prima il segreto di Stato (segreto militare) imposto su Charlie Hebdo, dopo che la magistratura francese aveva individuato l’ombra dei servizi segreti di Parigi nella triangolazione col Belgio per le armi slovacche messe a disposizione del commando, che sterminò la redazione del giornale satirico abbandonando però un passaporto sul cruscotto dell’auto utilizzata per la strage. E ora, cala il bavaglio delle autorità anche sull’attentato al Bataclan compiuto venerdì 13 novembre 2015, da più parti segnalato come “false flag” di matrice massonica, con tanto di “firma”: il primo infausto “venerdì 13” della storia fu quello dell’ottobre 1307, quando Filippo il Bello emanò l’ordine di arresto per i Templari, e un mese dopo – il 13 novembre – alcuni cavalieri (che poi contribuirono a fondare la massoneria) riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia. Chi ha organizzato la strage si considera “erede” dei Cavalieri del Tempio, al di là del paravento dell’Isis? Oggi, nel mirino delle indagini indipendenti – che tanto preoccupano il governo Hollande – non c’è la Scozia, ma Israele. Lo ha scoperto un reporter come Hicham Hamza, arrestato e incriminato per “violazione del segreto istruttorio e diffusioni di immagini gravemente lesive della dignità umana”, quelle della mattanza nel teatro parigino.
Effettivamente, scrive Maurizio Blondet nel suo blog, il 15 dicembre Hamza aveva postato una foto ripresa all’interno del Bataclan pochi minuti dopo la strage: l’immagine mostrava l’orribile scena di decine di corpi smembrati. Il punto è che non è Manuel Vallsstato Hamza a scattare la foto, «subito scomparsa per ordine giudiziario». Una foto pericolosa, capace di rivelare dettagli scomodi? Il giornalista l’ha trovata su un tweet – il cui webmaster è situato a Gerusalemme – firmato “Israel News Feed”, “@IsraelHatzolah”.  «Ora, “IsraelHatzola” è praticamente la stessa cosa di United Hatzolah, una Ong israeliana di paramedici che collabora con l’esercito di Israele», spiega Blondet. «Il presidente di United Hatzolah è particolarmente interessante: trattasi di Mark Gerson, un ebreo americano che è stato direttore esecutivo del famos think-tank neocon “Project for a New American Century”», il famigerato Pnac, quello che “consigliava” a George W. Bush di lanciare un grande riarmo, per il quale però sarebbe stata necessaria “una nuova Pearl Harbor”. «L’11 Settembre, quando la nuova Pearl Harbor si verificò, membri importanti del Pnac erano nel governo Bush, e lanciarono le guerre l’invasione Mark Gersondell’Afghanistan e dell’Iraq».
Invece di indagare su questa pista, chiedendosi come mai un sito israeliano legato ai necon e al Mossad aveva le foto dell’interno del teatro, scattate pochi minuti dopo la strage, gli inquirenti francesi hanno perseguito Hamza. «Varie personalità politiche e giornalisti lo hanno querelato per diffamazione, contando di rovinarlo economicamente: sul suo sito, “Panamza”, il perseguitato chiede ai lettori 10 mila euro per pagare le spese legali». Che la persecuzione sia originata dal governo non c’è dubbio, continua Blondet: Gilles Clavreul, delegato interministeriale del premier Manuel Valls, addetto alla “lotta contro il razzismo e l’antisemitismo”, s’è lasciato sfuggire durante un’intervista radio di stare cercando  «egli inghippi giuridici per arrivare a perseguire» il giornalista. Hamza è colui che ha scoperto una quantità di indizi che consentono di interpretare l’attentato islamico del 13 novembre come un “false flag” con “segnatura” sionista. Una storia contraddistinta da parecchie “coincidenze”, a cominciare dalle date: l’11 settembre (ancora), cioè due mesi prima della strage, la famiglia Toutou aveva venduto il Bataclan, per poi trasferirsi definitivamente in Israele.
«I responsabili della sicurezza della comunità ebraica erano stati avvertiti in anticipo dell’imminenza di un grosso attacco terroristico», secondo il “Times” di Israele, «che poi ha censurato la notizia». Da chi? «Dal banchiere barone Edmund De Rotschild, nientemeno». Il 13 novembre, giorno dell’attentato, era inoltre in corso un’immancabile esercitazione “antiterrorismo” programmata mesi prima dal Samu, il pronto soccorso municipale di Parigi, basata sullo scenario di tre attentati simultanei compiuti da tre gruppi di terroristi, che prevedeva 50 morti e 150 feriti. E ancora: la rivendicazione con cui Daesh si attribuiva gli attentati è stata diffusa dal “Site” di Rita Katz, l’ex collaboratrice del Mossad che ora opera dagli Stati Uniti. Secondo “France Télévision”, poi, i decreti per lo stato d’emergenza sarebbero stati adottati già prima dell’attentato al "On te fume"Bataclàn, alle 22.30, quando François Hollande uscì dallo Stade de France dove assisteva alla partita Francia-Germania: fuori dallo stadio, tre kamikaze si erano fatti saltare in aria con le cinture esplosive, uccidendo solo se stessi.
«La strage del Bataclan non era ancora avvenuta, ma la bozza del decreto era pronta da tempo», scrive Blondet citando Hamza. Lo ha rivelato lo stesso funzionario, direttore degli affari giuridici del ministero dell’interno, che ha stilato il documento. Si chiama Thomas Andreu, «legato alla comunità ebraica e a Israele attraverso la moglie, Marguerite Bérard, cognata di Marie-Hélène Bérard, tesoriera della Camera di Commercio Francia-Israele e membro del direttivo del Crif, Conseil Représentatif des Institutions Juives de France». Per la mattanza – 90 morti – è finito nei guai anche Jesse Hughes, il cantante degli Eagles of Death Metal, il complesso che si esibiva al Bataclàn, davanti a 1500 spettatori: in una intervista rilasciata a “Fox Business Network” quattro mesi dopo, Hughes ha rivelato che quella sera aveva scoperto che ben sei uomini addetti alla sicurezza del palco erano inspiegabilmente assenti. Poco dopo ha ricevuto minacce di morte: un’immagine con una mitraglietta Uzi sulla bandiera israeliera e la scritta “on te fume”, ti eliminiamo.
Per dare un’idea «del clima che Hollande sta facendo imporre nella ex patria della libertà di opinione», Blondet segnala anche il caso del professore di storia Pascal Geneste, duramente attaccato per aver difeso Putin come «uno dei precursori della lotta al terrorismo islamico, come dimostra l’intervento russo in Siria contro l’Isis». Geneste è stato convocato in gendarmeria e sottoposto a interrogatorio. E il 17 febbraio, 6 dei suoi allievi sono stati convocati in gendarmeria dove hanno subito un analogo interrogatorio sulla lezione pro-Putin. A premere sulla censura – anche sul web – è sempre il Crif, la rappresentanza franco-israeliana, che chiede che anche a Internet si applichi lo stato d’emergenza varato da Valls dopo l’eccidio del Bataclan, con poteri speciali allo Stato per frugare appartamenti, intercettare telefonate, ridurre le libertà personali. In realtà, il decreto contiene già misure repressive applicabili alla Rete: «Lo Stato può bloccare l’accesso a determinati siti, vietare a una persona tutte le comunicazioni via web, copiare tutti i dati trovati su terminali, smartphone e computer durante un’irruzione di polizia, compresi quelli sul cloud. Ma al Crif non basta: vuole siano punti e censurati i “messaggi di odio”», magari interpretando come tali anche le inquietanti rivelazioni di Hamza sul presunto ruolo del Mossad nella strage del 13 novembre.
Tratto da: Idee Libre

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